#: locale=it ## Tour ### Description ### Title tour.name = DoubleRoom-Borachiara ## Skin ### Button Button_386DE8AA_17CC_0B05_41B5_DE879E1001C4.label = lorem ipsum Button_386DE8AA_17CC_0B05_41B5_DE879E1001C4_mobile.label = lorem ipsum ### Multiline Text HTMLText_386DF8AA_17CC_0B05_41AE_D7BDB2970D08.html =
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Maria Lupieri
Carso, 1956
Strada Napoleonica, 1959
olio su tela
“Carso” (bora chiara) e “Strada Napoleonica” (bora scura) sono due lavori storici della grande pittrice triestina Maria Lupieri (Trieste, 1901 - Roma, 1961), due oli della fine degli anni ‘50 che ritraggono le bianche pietre carsiche scosse da impietose raffiche di bora, in cui l'effetto del suo dipingere, dai tratti sempre mossi, è dovuto proprio all'immaginare un paesaggio eternamente agitato dal vento.
Formatasi a Trieste, in un contesto storico di forte rilevanza culturale, frequenta artisti e intellettuali come Leonor Fini, Arturo Nathan, Maria Pospisilova, artista surrealista cecoslovacca naturalizzata svizzera, nonché Linuccia Saba, Primo Levi ed Eugenio Montale.
Si lascia influenzare anche dalle avanguardie dell'epoca, avvicinandosi al futurismo e nel 1931 partecipa alla mostra "Aeropittura futurista". Nel 1942 espone alla Permanente di Milano, nel 1948 partecipa alla Rassegna nazionale delle arti figurative a Roma, e nel 1955 alla VII Quadriennale nazionale d'arte di Roma. Negli anni cinquanta si avvicina ad una forma espressiva più astratta.
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Nika Furlani
Burja
stampa fotografica su carta fine art e Polaroid, 2010-20
La poetica ricerca visiva della fotografa Nika Furlani presenta il risultato di una lunga indagine su questo vento dal titolo “Burja”, in cui drappi di tulle ed enigmatiche presenze disegnano nell’aria il suo passaggio invisibile ma concreto sul Carso triestino.
La bora quando soffia, si fa sentire forte.
Schiaffeggia.
Toglie il respiro.
Penetra il corpo e la mente.
Non si orienta in un’unica direzione, è discontinua, libera.
Danza ululando il suo canto senza tempo.
L’ho vista invisibile... attraverso un telo bianco.
Nika Furlani
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Erik Mavrič
325 sassolini
acrilico su tavola , 2018-20
"325 sassolini" di Erik Mavrič è una serie infinita di quadri di piccolo formato che l’artista raccoglie ogni giorno lungo il tragitto che percorre per giungere al lavoro, li fotografa ingrandendoli, li archivia e infine li ritrae ad acrilico in bianco e nero su un metafisico fondo blu, in un'operazione quotidiana senza fine in bilico fra meditazione e rito.
“La rappresentazione dei sassolini dapprima solo fotografica, e in seguito anche pittorica, potrebbe essere letta come ritratto o documentazione della loro esistenza attraverso i motivi raffigurati, che altrimenti non esisterebbero, o sarebbero ignorati, con questo procedimento invece la loro esistenza viene assicurata. I sassolini vengono conservati e, a piacere, vengono disposti e composti, anche la loro immagine in raggruppamento non è mai uguale, mai nella stessa posizione, come quando si trovavano ancora nel loro contesto naturale. L’opera evidenzia così il problema esistenziale della presenza degli soggetti dipinti e il loro non-essere su questo pianeta, e ci porta quindi a riflettere sul non-essere anche di altre cose, facendoci interrogare sul passaggio dell’uomo sulla Terra. Solo quando qualcosa, o qualcuno, viene “ritratto”, la sua esistenza viene documentata e prolungata, finché anche questa documentazione non sparirà. Se l’esistenza dunque non fosse annotata, dopo un certo tempo, questo soggetto è come se non fosse mai esistito, e che ne dimenticheremmo molto in fretta. Va evidenziata infine la possibilità di diverso accostamento e posizionamento dei sassolini, come anche dei dipinti, che ci porta a riflettere sui rapporti sociali, sui rapporti tra le singole persone e sul loro continuo mutare.”
Denis Volk
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È tornata la bora
“In questi giorni in cui il mondo trema al pensiero della guerra, Trieste è scossa anche dalla bora. Il vento di casa è ricomparso all’improvviso, dopo mesi di grigiore umido, di pioggia ostinata, e non subito è riuscito a imporsi. Soffia ormai da quattro giorni e quattro notti, gagliardo e dispotico come da anni non accadeva. In tre mattini ho annotato sul mio calendario, inaugurandolo: “bora”, “finalmente bora”, “ancora bora”.
Ieri al Ponterosso sono stato investito in pieno da una raffica, ho cercato di spingermi avanti con tutto il peso dei miei ottantadue chilogrammi, che erano anche novanta calcolando gli indumenti, e sono dovuto arretrare di due passi. Poi il berretto ben calcato in testa se n’è volato via, dapprima altissimo sopra di me, poi scaraventato a terra. L’ho inseguito di corsa per una trentina di metri, sempre sul punto di riacciuffarlo e di riperderlo mentre rotolava sull’asfalto a zig zag, tracciava rapide volute, come animato dalla voglia d’indispettirmi. Sono stato costretto ad allungare una gamba e a bloccarlo con la scarpa per non vederlo finire nell’acqua del canale.
Era un giuoco ben noto, al quale per la prima volta sottostavo da uomo più che fatto, e che tuttavia si è ancora rivelato più divertente che importuno.
La bora suscita sentimenti e sensazioni difficili da spiegare a chi non è di qui. Dà vita e inscena un rapporto tutto nostro. Porta ognuno a ritrovare una parte di se stesso rimasta immutata dai giorni dell’infanzia, e nel contempo uguaglia tutti, rendendoli anche solidali tra loro, fedelmente attaccati a questo unico e composito margine di terra che ogni tanto, con la bora appunto, dichiara la sua assolutezza e la sua irripetibilità.
Dopo l’atmosfera parzialmente grigia, passiva, impersonale di ieri e di ieri l’altro pur con la bora, oggi il cielo appare interamente schiarito, allargato. Il giallo delle case risplende. Fuori c’è una luminosità massima, definita e irrevocabile come d’estate: punto d’arrivo, e dunque di stasi, della natura, del cammino degli astri, della vita animale e della storia degli uomini.
Questa di oggi sarebbe giornata da vivere in Dalmazia, tra Segna e Carlopago dove la bora scende animosa dal nubo Velebit e spazza le isole tendendo a ridurle all’osso. Il vento di nord-est, che nasce nella steppa russa e si organizza piegando l’erba azzurrina della puszta ungherese, qui lo si sente più acuto e più acutamente lo si chiama bura.
Lo Staterello ideale a cui utopisticamente appartengo, e che sempre m’illudo venga un giorno costituito, è proprio quello in cui la bora allarga il cielo in un blu cupo e solenne, trasforma la superficie del mare in uno sparso gregge incessante, accende il bianco della pietra, ridà slancio e parola agli uomini, siano essi rattrappiti in una casupola o facciano gruppo all’osteria, alla fermata di una corriera, si accalchino su un molo in dubbiosa attesa che il traghetto possa rispuntare tra la schiuma dei cavalloni.
Bora, bura: una di quelle poche voci uguali a pieno diritto, che nessuno dell’altra lingua fingerebbe di non capire o si sognerebbe di contestare.”
gennaio 1991, Fulvio Tomizza
da “Alle spalle di Trieste”, Bompiani, 1995
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Davide Maria Palusa
Elogio all'azione silenziosa
stampa fotografica su carta fine art, 2020
Gli still life di Davide Maria Palusa, in bilico nello spaziotempo, sono il tentativo di ricreare in studio i devastanti effetti della bora sulle pietre carsiche in una sorta di esperimento destinato a un romantico fallimento.
“Elogio all'azione silenziosa è una celebrazione al vento ed alla sua immaterialità.
Ci troviamo davanti ad una realtà naturale del tutto frammentata, concettualmente e fisicamente, in modo da rendere visibile un atto di per sé invisibile: la riproduzione simbolica del soffio della bora ed il suo impatto sul paesaggio.
L'instabilità generata dal vento viene rappresentata come una caduta immobile, un paradosso che ha come base l'astrazione dell'aria.
Il dialogo tra le fotografie invita così a riflettere su un vento che crea, modifica, sorregge e annulla.”
Michela Coslovich
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Guido Pezzolato
L'uomo con la manica a vento
acrilico su tela, 2002
Collezione del Museo della Bora
“L'uomo con la manica a vento” è un fantasioso prestito dalla collezione d’arte del Museo della Bora, un acrilico su tela dell’illustratore triestino Guido Pezzolato che negli anni ha realizzato molti dipinti dedicati proprio al vento triestino e che nel 2007 ha illustrato un divertente racconto di Rino Lombardi dal titolo “Via della Bora”.
Guido Pezzolato, nato a Trieste, è diplomato in Disegno Animato all’Istituto Statale d’Arte di Urbino. Da più di trent’anni lavora nel campo della grafica e della pubblicità, anche per celebri campagne nazionali. Ha partecipato a diverse collettive con dipinti dedicati alla bora. Nel 2009 ha esordito con la sua prima mostra personale, “Navi passeggere”, in coppia con Paolo Pascutto. Vive e lavora a Trieste dove fa l’art director e l’illustratore in una nota agenzia.